ROBERTO BERLOCO - Quattro metri e sessantasei di lunghezza per quasi due metri di larghezza. Le misure sono quelle tipiche, ma non si tratta d’una Ferrari nel senso tradizionale del termine. Meglio: non è una Ferrari nel senso ipermuscolare al quale la platea mondiale è abituata. Non è una Ferrari secondo l’eco chiamata alla mente ogni volta che s’invochino le sue impressionanti caratteristiche. Non è una Ferrari che abbia diritto immediato all’estasi visiva nel passaggio in strada. Non è una Ferrari di quelle destinate a far da alveari di curiosi ammiratori, una volta parcheggiata. Insomma, non è una di quelle Rosse che la storia ci ha abituati a riconoscere, rasentando l’infarto al solo vederla sopraggiungere di lontano, con quella superba livrea che, ogni volta, pare il lampo che precede il tuono d’un motore rigurgitante di maestosi e regali cavalli.
Eh si, perché stavolta, a Maranello, hanno deciso di percorrere binari diversi, sia pure rigorosamente restando nella tratta che, dalla Ferrari, porta sempre alla Ferrari.
Premesso che, se non fosse per il richiamo alla Dolce Vita, cioè a quel certo stile in voga nella capitale d’Italia tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, sublimato dal regista Fellini ed espresso a chiare lettere nel sito ufficiale della Ferrari, sarebbe tanto parso che, a voler essere omaggiata, fosse più la Caput Mundi col suo fascino d’eternità che l’urbe più rappresentativa del Bel Paese, la Roma, si, proprio questo il suo nome, è una gemma che raccorda eleganza con la sportività tipica dei bolidi del Cavallino rampante, ma pure secondo una foggia che, nella discrezione, trova un proprio significativo equilibrio. Con questa che, con una parentela stretta con la Portofino, rappresenta l’ultima tra le produzioni in ordine di tempo della Casa romagnola, s’avvera, cioè, una sorta di temperanza stilistica che mancava da tempo nella vetrina della Casa motoristica più prestigiosa d’Italia. Per maggior esattezza, dai tempi della 250 GT Berlinetta, una granturismo di oltre sessanta anni fa, della quale si ricordano chiare ambizioni di pista.
Lo dice il primo colpo d’occhio: sia pure correndo su piani paralleli che, al di là della comune appartenenza alla categoria delle cosiddette “Super Car”, non s’incrociano e mai s’incroceranno, si può subito ritenere che la Roma realizzi quel che viene bene solitamente alle Porsche, vale a dire il saper creare aristocratica distinzione senza di mezzo l’eccesso tipico della categoria.
La conseguenza principale, peraltro apprezzata da non pochi tra quei pochissimi che possono permettersi d’accedere ai corrispondenti prezzi di listino, sta nell’opportunità di evitare gli sciami di adoratori ad ogni sosta, senza rinunziare al prestigio della griffe e alla portentosa sostanza di qualità con cui questo si giustifica. Senza ricusare un naturale primato d’eleganza, poterla guidare nel traffico quotidiano e non curarsi d’altro che di godere del piacere di guidarla. E, insomma, scusate se è poco.
Ma se le forme sembrerebbero condurre a quieti intendimenti, ciò che le stesse rivestono racconta di un classico purosangue Ferrari.
Prendendo, ovviamente, dal possente motore, un biturbo anteriore centrale da 3.9 litri, con otto cilindri in grado di trasmettere una potenza di 620 cavalli alle ruote posteriori. Dunque, trazione dietro e non integrale, scelta probabilmente dettata dal titolo del tema del richiamo ad un certo passato, ma senza, per questo, compromettere la precisione di guida e la stabilità, neanche alle più elevate velocità, compresa la massima di 320 km/h.
Ufficialmente, la Roma è una 2+2, ma, in realtà, i posti dietro vanno bene solo per persone di piccola statura, come bambini ad esempio, oppure per sistemarci semplice roba.
Per quanto sia innegabile una certa derivazione dalla Portofino, che potrebbe passare per la versione scoperta, è altrettanto chiaro che, da questa, se ne differenzi decisamente. Ad esempio per il telaio, simile ma diverso in gran parte dei suoi elementi costitutivi; o, ancora, per il cambio robotizzato con doppia frizione e quattro coppie di rapporti, abbastanza più rapido negli innesti rispetto alla variante, per così dire, cabriolet.
La linea della carrozzeria, tra le più indovinate per far breccia anche nel cuore dei non ferraristi, rimane invariata sino ai 100 km/h. Dopo, un’ala, nascosta sotto l’area superiore della coda, si eleva fino a produrre un carico di quasi cento chili, anche se, nella regola, funziona a regime d’un terzo di questa capacità.
Anche all’interno dell’abitacolo, vengono confermate le caratteristiche naturalmente salienti d’una Ferrari di razza, con il pieno delle tecnologie più avanzate in tema di comandi, ben due schermi a disposizione, nel quadro del cruscotto e nella zona alta del ponte, con tutto ciò che di maggiore avanguardia offre oggi l’infotelematica di bordo. Tra l’altro, chicca degna d’entusiasmo è la possibilità opzionale d’uno terzo schermo, riservato esclusivamente al passeggero, per i comandi che gli occorrono, ad esempio la regolazione del sedile, nonché una certa completezza di informazioni sullo stato della vettura, comprese le indicazioni su velocità e sulla modalità di guida selezionata.
L’abbondanza di pelle non solo per le sedute e di ottimi materiali adoperati anche per i particolari più nascosti, completa il quadro di quella che, come tutte le creature partorite a Maranello, ha il compito non solo di dare fuoco ad un’emozione, ma pure di tener viva questa nel tempo, proprio come avviene per quei vini che nascono già pregiati e, con il passare del tempo, sono destinati ad esserlo sempre di più.
L’ultimo dato, per un tale gioiello che si è anche conquistato il Premio “Design Award 2020”, quello del prezzo, di poco superiore ai 200.000,00 euro. Una somma che se, per i più, rappresenta un sogno al pari di questa Ferrari, fa tanto di particolare di secondo piano per quegli appassionati o, anche, facoltosi collezionisti, i quali non intendano rinunziare a completare il proprio garage con quel qualcosa di speciale di cui avvertivano la mancanza.
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