ROBERTO BERLOCO - La forma d’un fagiolo. L’irresistibile simpatia d’un personaggio da cartone animato. Il rassicurante aspetto d’un vecchio amico di famiglia. L’incredibile carisma d’un attore di cinema plurinominato all’Oscar e, non a caso, con ricorrenti presenze sullo schermo. Su quello piccolo di casa, come negli iniziali episodi de “L’ispettore Derrick”, quelli prodotti con Horst Tappert come protagonista e andati in onda sul finire degli anni ’70. Su quello grande delle sale cinematografiche, come nella pellicola statunitense “Herbie, un Maggiolino tutto matto”.
Insomma si, è proprio lui, lo storico Maggiolino! Il più grande orgoglio della Casa di Wolfsburg! Il parto più glorioso nella storia germanica delle quattro ruote! Uno dei momenti più belli e più fieri dell’industria europea del XX secolo!
Voluto fortemente da Adolf Hitler in persona per motorizzare quel grosso della popolazione che non disponeva delle opportunità economiche per accedere a marchi solitamente costosi, il disegno originario del Maggiolino portava la firma dell’ingegner Ferdinand Porsche, uno dei quei pionieri che, per una cascata di ragioni, possono accedere con certo merito nell’albo d’oro dei padri nobili dell’automobile.
Ferdinand Porsche, perché fu lui a spuntarla su Jakob Werlin (progettista in organico alla Daimler-Benz), dopo che, ad ambedue, si era rivolto il Furher illustrando il proprio ideale di auto popolare, non prima d’aver formalizzato pubblicamente, nel corso del Salone di Berlino del 1934, la propria volontà di dar vita alla prima vettura di massa nella storia della nazione tedesca. Singolare, certo, che da un Capo di Governo provenisse un’idea del genere, ma, pure, più singolare ancora il fatto che lo stesso soggetto dettasse caratteristiche tecniche e, financo, prezzo (1.000 Reichsmark) che il nuovo modello dovesse possedere. Uno, appunto, alla portata dei più (anche se, in fin fine, al cittadino medio d’allora, avrebbe comportato, comunque, un certo sacrificio per potervi accedere). Non a caso, il nome invocato per il battesimo dello stabilimento dove si sarebbe prodotta, nei pressi del castello di Wolfsburg - dove, in seguito, sarebbe sorta la città omonima - fu “Volkswagen” - letteralmente “Auto del Popolo” - che rimarrà, poi, ad ispirare il marchio dell’azienda e a denominare la ditta.
Quando vide luce, in quel lontano 1938, quando ancora del secondo conflitto planetario non c’era ombra, ma già se ne fiutava forte l’odore, quando ancora la Germania era in fase di riarmo, ma già s’impossessava dell’Austria e, poi, occupava il territorio dei Sudeti, il progetto che avrebbe segnato indelebilmente la storia dell’automobile aveva le sembianze d’un prototipo, siglato “V3” - antesignano del modello vero e proprio, che sarà chiamato “Typ 1” - con un motore che superava di poco i ventidue cavalli di potenza, ma, specialmente, capace di sfoderare un telaio dotato di sospensioni a ruote indipendenti, per l’epoca un’autentica chicca tecnologica. ’
Il sopraggiungere delle ostilità, dovute a quella che è passata alla storia come Seconda Guerra Mondiale, impedì che il programma proseguisse fino alla fase della commercializzazione, ma non che la produzione venisse inibita. Seguendo il destino di molte altre industrie tedesche, anche quella creata appositamente per il futuro Maggiolino, dovette infatti convertire le proprie linee alla realizzazione di vetture per la Wermacht. Fu così che scocca e meccanica della “Typ 1” vennero utilizzate per la fattura della “Kubelwagen” e della “Schwimmwagen”. La prima, indirizzata all’uso dei trasporti del personale militare, e, d’altra parte, il nome stesso tanto lasciava presagire (tradotto letteralmente in italiano: auto tinozza). La seconda (in traduzione: “auto che nuota”), era nient’altro che un mezzo anfibio, adibito ai movimenti delle truppe in aree fluviali o paludose.
Fu per entusiasmo e fermo volere di Ivan Hirst, un ufficiale superiore dell’esercito britannico, che, nell’immediato Dopoguerra, la Casa di Wolfsburg tornò alla sua vocazione originaria, dando finalmente vita alla “Typ 1” per uso civile, con una motorizzazione a benzina di 1.1 litri per 34 cavalli di potenza. Ed è finalmente in questo momento che l’atto di concezione di Ferdinand Porsche giunge a definitiva perfezione, con l’ufficiale messa su strada dei primi esemplari e le prime concessionarie raggiunte.
Il successo prorompe immediato e in abbondanza. Dopo quello che potrebbe essere definito un lungo periodo di tirocinio tra i campi di battaglia di mezzo pianeta, un fiotto di varie decine di migliaia d’unità assorbite subito dal mercato e frutto solo dei primi anni di produzione, suggella il sopraggiungere trionfale di un prodotto che si avverte capace di un radioso futuro.
Gli anni a seguire danno ragione dei presentimenti, con versioni sempre più rifinite e un’espansione commerciale che spinge ben oltre i confini dell’Europa. Vengono raggiunti, difatti, il Sudafrica e diverse nazioni delle Americhe, come, naturalmente, gli Stati Uniti, la piazza più ricca del Nuovo Continente e dove, anche, la “Beetle” - il soprannome che, oltre Atlantico, fu dato al modello, tradotto letteralmente “Scarafaggio”, insieme all’altro, “Bug”, in italiano “Insetto” - seppe ben presto assurgere a mito adorato.
Le ragioni di questo entusiasmo tanto immediato, euforico, trascinante, sono riposte, naturalmente, nella speciale sagoma della macchina. Quei montanti che sembrano oggetti museali da mostra, quelle forme così tondeggianti che trasudano simpatia da ogni particolare, curve così ben scolpite che fanno trasognare chi le guardi, dettando ampi spazi d’immaginazione alla mente, battiti decisi e di rapida marcia al cuore, costanti sensazioni di piacere al tatto della vista.
Di fatto, non passa anno che il fiore all’occhiello di Wolfsburg non riceva miglioramenti. Si tratta d’interventi talvolta minimi, riguardanti aspetti delle strumentazioni, della meccanica o degli arredi, comunque un segnale chiaro e continuo, da parte delle dirigenze della Casa costruttrice, a voler essere sempre al passo con i tempi e a non deludere i tanti che, in ininterrotta crescenza, diventano soddisfatti e devoti acquirenti.
Un curioso aneddoto chiama in causa l’Italia e la buona fama dei suoi disegnatori. Sul finire degli anni ’50, i responsabili della Volkswagen decidono, infatti, di rivolgersi all’italianissimo Battista Farina per dare una rinfrescata al loro modello di punta. Farina declinerà l’invito, ma solo per lasciare che fosse suo figlio Sergio ad occuparsene. Senonché, dopo un certo periodo di riflessione, questi finirà per ammettere che non vi fosse bisogno di alcuna modifica, con l’eccezione della vetrata posteriore, consigliando che venisse ampliata.
Intorno a metà degli anni ’60, viene introdotta la prima vera novità in tema di motorizzazione. Si assistette dapprima a due accrescimenti della cubatura, che si portò dagli originari 1.1 litri a 1.3. In seguito, si raggiunsero i 1.5, mentre continuarono a piovere interventi sui particolari, come, ad esempio, quelli riguardanti i copriruota, che assunsero una fisionomia piacevolmente bombata.
Nel 1970, nasce quello che potrebbe essere definito il fratello del Maggiolino. Viene chiamato Maggiolone e non è un caso che abbia un nome che sembra maggiorare quello che non sostituisce, ma, semplicemente, affianca. Accanto ai motori già in uso, il Maggiolone sfodera un 1.6 litri e altre novità sul piano meccanico ed estetico, quel tanto che basta per giustificarne un nome differente alla fonte battesimale.
Ogni Maggiolino prodotto è destinato a macinare centinaia di chilometri, ma tutti insieme arriveranno fino all’orizzonte dei venti milioni di unità. Questo eccezionale traguardo sarà raggiunto sul finire degli anni ’90 del secolo scorso, quando, ormai, le catene di produzione erano state trasferite completamente nelle Americhe, particolarmente in Messico, dove il Governo adotterà decisioni che permetteranno di far decrescere il prezzo del modello e di renderlo ancora più popolare, semmai ce ne fosse stato bisogno.
L’ultimo esemplare, secondo una concezione che durava ormai da quasi sessant’anni, vedrà la luce nel 2003, proprio in quella terra che, un tempo, fu regno di uno sfortunato Asburgo e che diede i natali a indimenticati rivoluzionari come Pancho Villa.
Alla maniera d’un giorno che, morendo, ne lascia nascere un altro, al tramonto di quel che fu il caro, vecchio, buon Maggiolino, seguì l’alba di quel che sarebbe stato il suo diretto erede. Anche se, in realtà, quella che sarebbe stata l’interpretazione moderna della creatura più amata da Ferdinand Porsche, venne emergendo mentre la sua genitrice ancora dava respiro. E’ nel 1998, infatti, che nasce la “New Beetle”, a tutti gli effetti un modello completamente nuovo, dopo un periodo di gestazione basato sulla “Concept One”, un’idea di auto presentata al Salone di Detroit di quattro anni prima e che assolveva alla missione di conservare intatto il senso fascinoso dell’originario progetto, portandolo, nel contempo, ad una visione degna dell’era contemporanea delle quattro ruote.
Per l’ultima, definitiva evoluzione, invece, bisognerà attendere ancora tredici anni. E’ nel 2011, difatti, che, in Casa Volkswagen, s’ode il primo vagito della Nuova Maggiolino, i cui veli scivoleranno contemporaneamente a Shangai, Nuova York e Berlino. Si tratta d’un modello che, nella sostanza, s’ispira a quell’istinto di modernizzazione che aveva deciso le matite di Wolfsburg all’operazione del 1998, ma con un preciso intento di richiamare maggiormente il mito originario, attraverso interventi stilistici mirati a riprodurre caratteristiche che furono sue tipiche peculiarità. In qualche modo, rispetto alla rinascita precedente, è come se si fosse voluto ancor più marcare quelli che erano aspetti legati alla specialità del Maggiolino del secolo dietro, come, ad esempio, anche semplici aspetti della carrozzeria e, così facendo, allungando ancora l’ampiezza temporale della sua epopea, giunta a superare gli otto decenni.
Non è azzardato dire che, nella storia dell’automobile, nessun modello come la Maggiolino abbia conosciuto un tale primato in termini d’affetto, tra le masse del pianeta, da poter assurgere allo status di pietra angolare di un’epoca. Una, di epoca, interamente dominata dai combustibili fossili, e che, in quest’era di transizione al regime dell’elettrico, rimane un luogo temporale da strappare alla dimenticanza con la forza della più tenera nostalgia.
A dimostrare questa posizione di primarietà, non sono solo i numeri colossali della produzione, ma pure, come dire, la voglia irresistibile di vederla alla propria maniera, proprio come si fa con un indumento che piace talmente da volerlo personalizzare. A pensarci, anzitutto i tanti privati acquirenti, capaci di trasfondere, in quello scatolino su gomma, gusti singolari e fantasie talvolta ai limiti della bizzarria. Ma, poi, anche la stessa azienda madre assieme ad opifici che lavoravano su licenza di questa, spesso impegnate nella foggia di una serie di declinazioni che, per numero, tiene qualcosa di prodigioso e che fu resa possibile anche grazie alla duttilità del pianale. Basteranno solo alcuni esempi per dar chiara l’idea.
Dalla cabriolet, per iniziare. Prevista sin dal progetto del prototipo definitivo del 1938, essa sarà affiancata al modello ufficiale nel 1949, su impostazione concepita dalla carrozzeria Karmann e avrà linfa sino al 1980 (nella versione “Maggiolone 1303”). E, per rimanere nei confini della simpatia: la “Pescaccia” - risalente al 1969 e, in sigla, “Typ 181” - a modo suo una singolare reinterpretazione della “Kubelwagen” di militare memoria e, non a caso, ampiamente utilizzata dalla Bundeswher, l’esercito tedesco nato dalle rovine della Wermacht; la “Typ 2”, praticamente una sorta di furgoncino capace di otto posti e che, oltre alla derivazione del pianale comune a quello del Maggiolino, reclamava una decisa somiglianza con questo nel frontale; la “Hobbycar”, risalente al 1970, una pratica e divertente versione da sabbia, che faceva il verso alla “Dune Buggy”, la cui moda andava sempre più imponendosi e che, volendo, poteva ricavarsi anche artigianalmente da un Maggiolino attraverso semplici modifiche.
Un ultimo cenno, se si vuole dar giustizia di tutti i capitoli di questa immortale storia, deve andare alla più insospettabile delle vocazioni del Maggiolino, quella per le competizioni. Rally, in particolare. Nel 1973, un Maggiolino pilotato da Bjorn Waldegard conquista un onorevole sesto posto nella tappa svedese del primo Campionato del Mondo Rally. Un risultato simile sarà raggiunto dal pilota Georg Fisher, nella tappa austriaca della stessa edizione.
Ma, prim’ancora e per più volte, tra gli anni ’50, d’un Maggiolino al podio più alto si parlerà al Safari dell’Africa Orientale. Primo anche al Rally dei Mille Minuti, senza pausa dal 1967 al 1969. E si potrebbe insistere ancora per molto, fino alle gare di auto storiche di anni assai vicini a quello corrente, mentre, con altrettanta certezza, di Maggiolino si parlerà ancora nel futuro delle quattro ruote, fino a che, per costruirne uno sempre migliore, si vorranno tener ferme le migliori tra le radici del passato.
Fonti di bibliografia
“Volkswagen Maggiolino” - Edizione illustrata di Marco Batazzi. 2008 Collana “Le vetture che hanno fatto la storia”
“Maggiolino. La vera storia della Volkswagen” di Mario Luraghi. 2012. Editore Leardi
https://wheels.iconmagazine.it/auto-classiche/personaggi/ferdinand-porsche#:~:text=di%20tutta%20Europa.-,La%20Volkswagen%20Maggiolino,di%20benzina%20ogni%20100%20chilometri
https://www.volkswagen.it/it/area-clienti/modelli-precedenti/storia-del-maggiolino.html https://www.maggiolino.it/category/tecnicacat/tipi-modelli/
https://www.motorbox.com/auto/magazine/lifestyle-auto/la-storia-del-maggiolino
https://it.wikipedia.org/wiki/Volkswagen_Maggiolino#:~:text=La%20Volkswagen%20Typ%201%2C%20meglio,Volkswagen%20dal%201938%20al%202003.
https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/1938-key-dates https://www.mavment.com/blog/volkswagen-maggiolino/
https://www.automobile.it/magazine/storia-auto/storia-del-maggiolino-21765 https://www.motorzoom.it/volkswagen-typ-1-maggiolino-o-maggiolone-ecco-le-differenze-e-le-caratteristiche-distintive/ https://it.wikipedia.org/wiki/Wolfsburg http://www.maggiolinoweb.it/storia.html
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