martedì 30 giugno 2020

Aston Martin DBS Superleggera. Un’emozione che passa attraverso le storie di James Bond


di Roberto Berloco - E’ una Aston Martin DB 5 la coupé con cui James Bond, agente speciale del controspionaggio di Sua Maestà britannica, guida avventurosamente in diverse delle vicende cinematografiche prolificate dalla penna di Ian Fleming.

Una Gran Turismo calzata perfettamente alla persona e alla personalità che, prima, un affascinante Sean Connery, poi un tenebroso Pierce Brosnan, infine un magnetico Daniel Craig, hanno prestato per dar vita ad uno dei soggetti protagonisti più intriganti che la memoria storica riconosca, ancor oggi, nella produzione di filmografia del genere thriller d’azione.

Chi, d’altronde, ai giorni nostri, considerando anche oltre mezzo secolo di repliche televisive alle quali hanno attinto le generazioni più recenti, potrà mai dimenticare quelle prime visioni sul grande schermo, come l’indimenticabile “Goldfinger” del 1964 o il coinvolgente “Thunderball” dell’anno successivo, con un Connery straripante di mascolino fascino mentre scorrazza, spesso e volentieri, a bordo d’una fiammante DB5?

Chi, tra coloro che serbano ferrata la passione per i miti intramontabili, potrebbe smarrire il ricordo dei pericoli affrontati e regolarmente vinti da Pierce Brosnan, fieramente al volante di una DB5, in “Goldeneye” del 1995, oppure in “Il domani non muore mai” del 1997 o ne “Il mondo non basta” del 1999?

E, ancora, chi, nella gente più sensibile allo spirito d’azione, avrebbe mai voglia di dimenticare le spettacolari rese di Daniel Craig, con una DB5 come fedele, puntuale spalla, da “Casino Royal” del 2006 a “Spectre” del 2015?

Una grande storia motoristica, quella della Casa di Gaydon, originata dallo slancio coraggioso dei suoi fondatori, gli inglesi Lionel Martin e Robert Bamford, partiti in società da quella che, prima della Grande Guerra, era non più d’una concessionaria con officina meccanica annessa. Ma una storia che fa tanto di contorni da fiaba al capitolo della DB5, che, prodotta dal 1963, nella sostanza altro non era che una DB4 rimodellata dalla Carrozzeria Touring, un’azienda italiana che, nel periodo compreso tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, andava nota per la fama raggiunta nell’arte di realizzare carrozzerie su misura, per conto di privati, ma soprattutto di marchi normalmente noti e operanti sul mercato automobilistico.

Furono proprio questi carrozzieri italiani non solo a rivedere stilisticamente alcune superfici dell’Aston di partenza, ma pure ad utilizzare, per la nuova in animo, un genere avanzato di scocca di proprio genio, denominata “Superleggera” per via della notevole riduzione di peso che comportava rispetto ad una struttura portante ordinaria.

E “Superleggera” è anche il secondo nome col quale, a marcare il minor carico rispetto ai modelli più affini della stessa griffe e, insieme, per omaggiare quella particolare formula che fu preferita per la DB5 come per altre Aston dell’epoca, s’è voluto porre a battesimo la DBS, punta di diamante della Casa d’Oltremanica, fin dalla sua entrata sulla scena commerciale, avvenuta nel 2018.

Naturalmente, non è appena uno sguardo alla DBS che renderebbe facile rianimare suggestioni che, grazie alla cinematografia, furono e continuano ad esser diffuse nel comune sentire con l’antenata DB5, anche se già un primo batter di ciglia sarebbe sufficiente a rappresentarsi certa parte del senso di quest’inglese purosangue.

In 471 cm di lunghezza, per 197 cm di larghezza e 128 d’altezza, sono infatti condensati i sentieri d’una filosofia costruttiva che, solo approfondendo dagli esterni all’abitacolo, dal motore sino agli intimi, più nascosti particolari della meccanica, attua la missione d’incendiare quel superbo vortice di emozioni destinato ad investire principalmente chi si troverà padrone dello sterzo, secondo uno spartito di sofisticate soluzioni tecniche, tutte d’avanguardia ma, nel contempo, ciascuna avverata nel solco dell’ispirazione ad un glorioso passato.

Utilizzando l’intelaiatura in lega leggera della sorella minore DB11, sia pure irrobustita per mezzo di elementi in carbonio e non solo, questa “Superleggera” contemporanea sfodera, anzitutto, una carrozzeria ad altezza piena delle ambizioni per cui è nata, tra cui svetta quella d’incarnare il non plus ultra del prodotto con il blasone Aston Martin.

Se, così, le linee richiamano quelle ormai familiari delle coeve DB, dicono tanto di più le fenditure per l’aria presenti sulle fiancate e sul cofano anteriore, funzionali al raffreddamento rispettivamente di freni e motore, ma pure, esteticamente, adatti a marcare una vistosa stretta d’intrigo stilistico al complesso della vettura. Sul muso esalta, invece, l’area granellata che, similmente al caso della Vantage, una delle altre gemme della Casa, s’estende con maggiore importanza nel contesto della calandra.

In posizione anteriore longitudinale, con la firma originale dei tecnici di Gaydon, ruggisce un motore biturbo da 12 cilindri a V, con una cubatura da 5.2 litri per 715 cv di potenza, in grado di assicurare 340 km/h di velocità massima e uno scatto da 0 a 100 km/h in appena 3,4 secondi.

Numeri che rendono la DBS un’assoluta stella nel firmamento delle Gran Turismo, capace d’una virilità prestazionale da mettere alla prova soprattutto in pista, se non s’abbia l’uso, insomma, di frequentare le invidiatissime autostrade tedesche.

Esigenze di confortevolezza e aspirazioni a potenti rendimenti trovano, poi, di che combinarsi nelle tre modalità di settaggio GT, Sport e Sport Plus, anche se va precisato che, neanche con la configurazione più estrema, la comodità di guida viene mai compromessa.

Ciliegina sulla torta, l’artigianalità che, con modi certosini, domina ogni aspetto della fabbricazione, anche per la versione scoperta, denominata “Volante”, mentre non dovrebbe suonar di sorpresa il prezzo, a partire da poco oltre i 288.000,00 euro per la coupé, e da 302.648,00 per la cabriolet.

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